CASACIBEI — DELITTO ALL’IMBRUNIRE

Serra di Burano
5 min readDec 2, 2020

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Materiale reperito dai documenti di Fabrizio Cece sulla Banda di ZIGO

Siamo nel cuore di Salia:

Un gruppo di case isolate sopra un colle, una banda di briganti, un paese di renitenti alla leva.
Un mix che portò ad un omicidio a bruciapelo, il crimine più grave (e forse ultimo) commesso dalla Banda di Zigo (i cui documenti si possono consultare nel Gruppo, Fabrizio Cece: documenti, pubblicazioni, conferenze (https://www.facebook.com/groups/59502802203/)

Casacibei nel Buranese fu teatro di questo omicidio il cui epilogo culmina con la morte del povero Angelo Radicchi detto il Vescoco. Anno 1867.

Il gruppo di case di Casacibei vista in lontananza

Allego l’atto di Accusa che ripercorre tutta la vicenda:

Contro

MARTINELLI ANTONIO detto Pione,
e CASAGRANDE EMIDIO
Processo N. 6962, 5519, 1975

Sentenza di rinvio 6 agosto 1869 — § 14.°

Nella parrocchia di “Salia”, territorio di Gubbio, avvi su un colle un agglomerato di case denominato “Casacibei” in una delle quali abitava colla moglie e cinque figli il campagnolo Angelo del fu Francesco Radicchi, soprannominato il Vescovo, individuo ben qualificato per la sua moralità, di animo tranquillo e generalmente beneviso. Quella abitazione è fronteggiata di prospetto da una siepe che ne dista circa 4 metri e al di là della quale avvi un terreno coltivato che si protende in molto sensibile pendìo.

Casacibei Oggi — Case dei contadini

Circa un quarto d’ora dopo l’Avemaria della sera del 4 aprile 1867, mentre il ridetto Radicchi trovavasi entro la medesima colla famiglia, sentito un insolito latrare dei cani, ne uscì per verificarne la cagione; ma non appena si fu fatto al di fuori, tre fucilate quasi contemporanee lo colpirono al torace e istantaneamente lo resero cadavere.

Intorno di Casacibei

Quelle esplosioni partirono precisamente dal di là di quella siepe della quale si è fatto cenno e, mentre sopra alcuni arbusti di essa il passaggio dei proiettili lasciò visibili tracce, preso la medesima si constatò l’esistenza di alcune orme che resero palese come in quel punto due individui si erano trattenuti in agguato; orme, le quali si stampavano altresì nel sottostante terreno, e rivelavano come gli assassini, compiuta la strage, si fossero involati a precipizio, discendendo per quel campo ad alcuni viottoli, sui quali se ne smarriva ogni traccia in direzione di Morena.

Come si è detto, il Radicchi era generalmente benviso; ma, per mala sua sorte, nel 18 febbraio in cui per la via da Umbertide a Gubbio avvennero al “Fosso dell’acqua buona” le otto grassazioni delle quali ci occupammo nel titolo 17° del presente atto di accusa, gli era accaduto di incontrarsi in luogo detto “Monte del vento” nei malandrini che si dividevano il bottino e di riconoscere fra essi l’Antonio Martinelli; e, per sventura maggiore, non si era trattenuto dal parlare di questo fatto palesemente così, che non venisse ben presto a notizia della associazione dei malviventi che quelle contrade infestavano.

Casacibei — zona in direzione Morena, luogo della possibile fuga dei malviventi

Quanto egli stesso ben gravemente si preoccupava del pericolo che per questa cagione avrebbe corso la sua vita, se ne ha la prova per testimoni cui palesò i suoi timori, e dal fatto che il 31 marzo, intimato come testimone a comparire entro tre giorni dinanzi la pretura di Gubbio, ricusò di ricevere l’atto di citazione e lo restituì all’uscere, dichiarandogli “che non voleva morire ammazzato…! Che tanto glie l’avrebbero fatta…”!

Casacibei Oggi

E così si spiega come la voce pubblica immediatamente insorgesse unanime a proclamare che quell’eccidio non da altri potesse essere stato commesso che da chi aveva interesse a togliere di mezzo un testimone pericoloso. Né in vero l’opinione pubblica andava errata; che le prove raccolte pur troppo confermarono questo concetto, rivelando che non altri che Antonio Martinelli ed Emidio Casagrande, con preformato disegno, erano stati gli autori di quel misfatto.
E’ in fatti provato che entrambi erano consapevoli delle rivelazioni fatte dal Radicchi e prevedevano che sarebbe stato chiamato dinanzi all’autorità; che a lui stesso e ad altri, che qualificavano per “spie” attribuivano il già avvenuto arresto di taluni loro compagni; che ambidue, protestando glie ne sarebbe venuto male e non sarebbegli dato di recarsi a deporre, avevano contro di lui ripetutamente fatto minacciose iattanze.

Fucile ad una canna

Intanto, fino dalla mattina del dì 4, tutti e due uniti, erano stati veduti girovagare, armati; il Casagrande di un fucile ad una canna; il Martinelli di una doppietta, non che provveduto di una catana: ed egualmente uniti ed armati nello stesso modo, sulla sera e poco prima della strage, furono pure veduti avviarsi in direzione della località dove rimane la casa che il Radicchi abitava. Furono del pari veduti, poco prima della esplosione, fermi presso la siepe che fronteggia quella casa e poco dopo i colpi furono veduti insieme fuggire.

Doppietta — metà XIX secolo

All’atto del loro arresto si sequestrarono le loro calzature e fu riconosciuto che corrispondevano alle orme lasciate sul terreno. Il Martinelli tentò cimentare la coartata dell’alibi e, per quanto anche studiosamente cercasse di procurarsene mendaci prove, fallì nel suo doloroso intento. Tutti questi riscontri dimostrano la colpevolezza di costoro e li chiariscono autori della strage premeditata dell’infelice Radicchi.

In conseguenza

MARTINELLI ANTONIO e CASAGRANDE EMIDIO
sono accusati Di assassinio, per avere nella sera del 4 aprile 1867, con premeditazione ed agguato, ucciso con vari colpi di arme da fuoco Angelo Radicchi detto il Vescovo, per impedire che egli fosse interrogato come testimonio e facesse dichiarazioni rilevanti a carico di essi e dei compagni, in ordine ad alcune grassazioni precedentemente avvenute e procurarsi così la impunità dei reati commessi. Crimine previsto e punito dagli articoli 526, 531 e 533 n. 3, del Codice Penale.

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