Salia e Caileto: riti, tradizioni, grazie ricevute, storie antiche.
Il Culto di Sant’Ubaldo e le memorie della banda di Zigo.
Articolo di Massimo Bei dal periodico L’Eugubino n.6 2020
È l’ ultimo sabato di settembre, alle diciannove il parroco fa segno che è giunto il momento di entrare nella chiesa di Caileto e inizia a recitare il Rosario (foto 1). È ormai una tradizione consolidata celebrare nella piccola chiesa la festa della Madonna delle Rocche. Questa devozione nasce nell’ambito del lavoro domestico femminile, che nel passato vedeva le donne di campagna regolarmente impegnate nell’attività di filare canapa, lino o lana utilizzando rocche attorno alle quali il filato veniva avvolto. (1) La sera precedente la festa, quindi l’ultimo sabato di settembre, terminato il Rosario, vengono accese le fiaccole
che ogni famiglia ha preparato e allineato con dedizione all’esterno della chiesa, (foto 2) un gesto simbolico di ringraziamento e propiziatorio al tempo stesso, un rito del fuoco, molto suggestivo e che anche in questo 2020 i pochissimi abitanti rimasti in zona hanno cercato di mantenere in vita. “Chissà se per l’ultimo anno?”, si chiede Antonio Clementi detto “Toto” (foto 3), un ottuagenario del posto che ha rinnovato l’appuntamento annuale insieme a Giuseppe Martinelli (2).
In questa piccola chiesa il culto di Sant’Ubaldo è così radicato che risulta l’unica della Diocesi a festeggiare autonomamente il Patrono di Gubbio ogni 16 maggio. È l’indimenticabile avvocato Giorgio Gini a raccontare il motivo di questa speciale venerazione: “Caileto nella guerra 15/18 fornì all’esercito del Regno d’Italia venti soldati, tutti reclutati nel posto. Si coprirono di onore e di gloria, ma soprattutto tornarono tutti vivi e così con accordo morale, i reduci e le relative famiglie decisero di festeggiare ogni anno l’avvenimento del felice rientro” (3).
Più di recente, nel rimarcare il perdurare di tale rito dopo 92 anni, un altro scritto chiarisce come tutti i superstiti della Grande Guerra di questa zona recassero in tasca durante il conflitto “l’immagine di Sant’Ubaldo” (4). Furono proprio questi giovani reduci e i loro cari a far realizzare un dipinto del Santo (foto 4) conservato nella loro chiesetta e a dare il via a questo modo “tutto loro” di festeggiare l’annuale ricorrenza sacra.
Ma sono molte le storie e i fatti singolari da raccontare di questo lembo di territorio a nord ovest di Gubbio, al confine con le Marche. Un territorio suggestivo ed esteso quello dell’antica Villa di Salia (o Palazzo del Poggio o Palazzo del Sig. Tiberio), che si sviluppa per ben 10,28 chilometri quadrati dalla Serra di Burano alle confinanti ville di Morena, San Benedetto Vecchio, Santa Maria di Cortino, Arsena, come ben illustra l’ “Atlante geografico del territorio di Gubbio nel 700” del professor Adolfo Barbi, un’opera monumentale e fondamentale anche per la conoscenza del contesto in questione (5) .
A Salia si trovano due immobili: il mulino di “Burcia” e la casa del vocabolo “Cai Staggiola”, appartenuti a Giovanni Cecchini detto “Burcia”, componente della famigerata Banda di Zigo che nella seconda metà dell’800 imperversava nel Buranese. I documenti dei processi alla banda citano Giovanni Cecchini detto, contrariamente all’oralità, “Bornia” (6). Il fratello di Giovanni, Francesco, non apparteneva alla banda, ma quando ne ferì un componente da lui colto nell’atto di rubare un cavallo, fu costretto a scappare a Cantiano presso la famiglia Luchetti per evitare ripercussioni e vendette del sodalizio criminoso. Fu forse per la mediazione di questa ospitale famiglia o forse per “gli uffici” del fratello Giovanni che egli riuscì a cavarsela. Ma Francesco attribuì anche al Cielo il fatto d’avere scampato il pericolo, erigendo una edicola in legno ospitante una statua della Madonna nelle vicinanze del punto “Crocifossi” (7). Tanti anni dopo, quando il manufatto in legno era ormai distrutto, toccò ad Egisto Montanari sostituirlo con una stele in pietra che ancora oggi sorprende chi vi si imbatte una volta guadato il torrente che alimenta il mulino (foto 6).
E questo anche se l’attuale statuina della Madonna di questa stele realizzata con pietra locale sia posticcia e non adeguata per dimensioni all’edicola che la ospita (8). È quanto sappiamo dalla famiglia Cecchini, custode da generazioni della memoria di questi eventi.
Dal fiume, risalendo verso la Serra, ad un incrocio, si trova un’altra edicola in pietra. Ha una Croce scolpita in bassorilievo e la data 1946. E’ un ulteriore manufatto di Egisto Montanari, in segno di riconoscenza alla Madonna, (foto 7/8) che gli aveva concesso la grazia di riabbracciare il figlio Orriero tornato sano e salvo dal secondo conflitto mondiale (9).
Ancora in tempi più recenti è stato il signor Alvaro Clementi a sentire il bisogno di dedicare un’edicola a Sant’Ubaldo, collocandone la statua in ceramica in una teca di vetro entro un piccolo spazio verde da lui stesso amorevolmente curato (foto 9). Non solo, ma ha predisposto un faro alimentato da un pannello fotovoltaico per permetterne la visione pure di notte (10) .
Tornando ai gesti di riconoscenza e alle manifestazioni per grazia ricevuta, riteniamo che questi siano legati alla cultura e al radicamento nel territorio e forse per questo provenienti da molto lontano. Ed “esprimiamo — ancora con l’avvocato Gini –ardente rispetto per la genuina fede, nella eugubinità pulita e profumata dei luoghi di tutti questi benemeriti […] perché sbocciano da rigogliose radici antiche” (11). Di tale antica fede e della sua persistenza nel vissuto di questa comunità appare figlio anche l’assegno intestato a quel “parroco speciale” che fu Don Marino Ceccarelli, il prete partigiano di Morena. È conservato in una bacheca dedicata alle azioni benefiche visibile nella chiesa di Caileto.
Ma restiamo a Salia e alla sua interessantissima chiesa. Il campanile è punto di riferimento (foto 10/11/12) anche geografico di questo vastissimo territorio, essendo individuabile nella sua austera bellezza da qualsiasi direzione si raggiunga l’antichissimo tempio che esso sovrasta. Delle tre campane che vi alloggiano, infatti, una reca una scritta dal cui aspetto epigrafico è possibile collocarla tra il X e XI secolo. Almeno secondo Pio Cenci, che sottolinea anche la singolarità del testo inciso in un’altra campana: IUBILA PONGO (“Canto, diffondo la gioia”), NUBILA FRANGO (“Rompo, sciolgo le nubi, la tempesta”), FUNERA PLANGO (“Piango le disgrazie”) (12).
Relativamente a questo territorio e a questa chiesa, è da approfondire un antico rito legato al culto dei 12 apostoli, a cui sono attribuite guarigioni miracolose di convulsioni nervose e crisi epilettiche (13).
Queste sono solo alcune delle ricchezze del Buranese. Si auspica che la Pro loco, gli abitanti o chi in generale ne ha a cuore le sorti, si facciano promotori di una ricerca archivistica approfondita e di conservazione della memoria, sia per opportuna conoscenza, sia per trarre spunti utili per immaginare il futuro di questo territorio.
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Le fotografie sono di Riccardo Martinelli. Grazie a Franco Lepri e Sandro Pauselli.
Note:
(1) Testimonianza di Sandro Pauselli
(2) Pagina Facebook: “Santa Maria di Burano e Serra di Burano”, a cura di Riccardo Martinelli.
(3) G. Gini, “Caileto: Schietta Eugubinità e genuina fede”, Gubbio Oggi, marzo 1992.
(4) Archivio privato sig. Alvaro Clementi.
(5) A. Barbi, “Atlante geografico del territorio di Gubbio nel ‘700” , Gubbio, Tipografia Donati, 1997.
(6) F. Cece, “La Banda di Zigo. Il banditismo a Gubbio dopo il 1860”, Gubbio, 2009.
(7) Testimonianza orale di Vinicio Cecchini detto Claudio, sentite raccontare da suo padre, Mattia Cecchini detto “Garibaldi”.
(8) Testimonianza orale di Franco lepri.
(9) Testimonianza orale di Cesira Montanari.
(10) Pagina Facebook: “Santa Maria di Burano e Serra di Burano”, a cura di Riccardo Martinelli.
(11) G. Gini, “Caileto: Schietta Eugubinità e genuina fede”, Gubbio Oggi, marzo 1992.
(12) M.V. Ambrogi, G. Belardi, G. Sollevanti,“ Storia del Consorzio Agrario di Gubbio (1901–2013), Città di Castello, 2013.
(13) G. Gaggiotti, “La memoria del tempo, le feste popolari tradizionali dell’Umbria”, Editoriale Umbra, 2009.